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Mourinho e i nemici, il racconto di una stagione incredibile. Le sfide decisive e il vento contrario. Sartre e i calamari. L’invidia dei gufi, Palazzi a bordo campo, il calcio di Totti, il Grande Slam, il delirio, l’addio.

martedì 1 giugno 2010

Giacinto, Peppino e la coppa

Javier Zanetti è nato a Buenos Aires il 10 agosto 1973. Discendente di immigrati italiani, Zanetti esordisce nel campionato argentino a 20 anni. Alla sua prima stagione gioca 37 partite nel Banfield, segnando una rete. Dopo un altro anno con gli argentini (29 presenze e tre goal), è acquistato dall'Inter, voluto dal presidente Massimo Moratti su segnalazione di Angelillo.
Il 22 Maggio 2010, il giorno della finale di Madrid, Zanetti ha un’età in cui molti giocatori hanno già appeso le scarpe al chiodo, oppure si trascinano per i campi. E’ la sua settecentesima partita ufficiale in maglia nerazzurra.
Con l’Inter ha vinto cinque scudetti (2005-2006, 2006-2007, 2007-2008, 2008-2009, 2009-2010), tre Coppe Italia (2004-2005, 2005-2006 e 2009-2010), tre supercoppe italiane (2005, 2006 e 2008), la Coppa UEFA 1997-1998.
Nel secondo tempo, quando Josè Mournho decide che è ora di mettere fine alle incursioni sulla destra di Robben, palesemente troppo veloce per Chivu, pensa proprio a lui. Un trentasettenne a marcare il più guizzante degli attaccanti avversari: sembra un azzardo, ma il capitano nei 27 minuti che restano non si farà mai saltare.
Meno di un’ora dopo, Zanetti è più o meno nella stessa zona di campo dove poco prima annullava Robben. Percorre qualche decina di metri e si avvicina alla curva nord del Bernabeu, dove sono stipati circa 25.000 supporter nerazzurri in delirio. Prima della partita la curva ha disegnato una meravigliosa coreografia, surclassando anche nel tifo i rivali tedeschi. “E ora, insieme, coroniamo il sogno” era lo slogan, e ora il sogno si sta avverando. Il sogno è tra le mani del capitano, la coppa attesa per quarantacinque anni, il terzo trofeo della stagione, dopo campionato e Coppa Italia.
Il capitano, giunto vicinissimo alla recinzione, depone delicatamente il trofeo luccicante sul prato, poi volta le spalle e si allontana verso il centro del campo. Proprio così, si volta e se ne va, senza neanche guardarla. Dev’essergli costato. La coppa è lì per terra, nessuno intorno, incustodita. Zanetti si gira verso la curva, tende le braccia in avanti e punta gli indici verso i tifosi.
“La coppa è vostra ragazzi, tutta vostra”, è chiaro il significato del gesto. I pochi che riuscivano a trattenere la commozione a questo punto si lasciano andare. I primi piani mostrati sui maxischermi nello stadio, in Piazza Duomo, all’Arena Civica, sui televisori negli Inter Club, nei soggiorni e nei bar, mostrano volti commossi e stravolti dalla gioia.


[Guarda nel filmato (circa 7'50'') Zanetti che depone la coppa]

Alle televisioni il capitano affida queste parole: “E' un'emozione unica, inseguivo questa coppa da quindici anni e arriva nel momento migliore. Mi mancava solo questa e sono felicissimo. L'Inter adesso è grandissima. Ho pensato a tante persone, soprattutto a Moratti che ci ha sempre creduto e ai tifosi. Facchetti e Prisco hanno giocato con noi questa partita”.
Cambiasso lì intorno ride felice e abbraccia Moratti per la dodicesima volta. Indossa una vecchia maglia, di quando non si scriveva ancora il nome sulla schiena. Ma c’è stampato il numero tre, ed è abbastanza.
Passa qualche ora, e la squadra sbuca dal tunnel nel prato del Meazza. Sono le 6:08. A quell’ora, sugli spalti ci sono poco meno di cinquantamila persone. La coppa è tra le mani del capitano e di Angelomario Moratti. La coppa passa di mano in mano, giri di campo, cori e saltelli. Per poco meno di un’ora la festa prosegue, poi è giorno pieno, il sole alle sette è già alto. Il 22 Maggio, questo indimenticabile 22 Maggio, è già storia.
Le cronache del giorno successivo, Domenica 23 Maggio, parleranno, come di dovere, del raduno della nazionale di Lippi, l’inizio di una nuova avventura mondiale. Che drammatico contrasto con l’epopea nerazzurra! La squadra di Lippi è imbottita di giocatori bolsi e fuori forma, il clima intorno è ostile e depresso. Il gruppo dei ventotto, che si radunano a Venaria (chissà come mai, a Torino) è assediato dai fischi e dagli insulti dei tifosi italiani, che non riescono proprio ad amare questa squadra.
Azzurri, si comincia male. Nei suoi cent’anni di vita la Nazionale di calcio fu accolta dopo un Mondiale con i fischi e, al ritorno dal Messico nel ’70, persino con i pomodori. Il salto di qualità rispetto al passato è che ci si è messi avanti con il lavoro e gli insulti hanno colto gli azzurri già al primo minuto del primo giorno di ritiro: a freddo, nel cortile della Reggia della Venaria dove una regia improvvida aveva previsto un bagno di folla diventato un bagno e basta. (..)
Da quando Lippi è tornato ct, l’Italia ha raccolto più contestazioni che elogi: i fischi di Cesena o gli inviti a lavorare di Parma stanno dietro l’angolo. C’è crisi di rapporti, crollo nell’immagine. [Marco Ansaldo, La Stampa, 24 Maggio 2010]
I resoconti di quella Domenica raccontano anche di Allegri nuovo allenatore del Milan, e si tutti si affrettano zelanti a precisare che Ronaldinho giocherà dietro le punte, come vuole Berlusconi. Cominciamo bene.
La notizia più malinconica è però la sconfitta 1-3 della Juventus a New York, contro una squadra locale, loro che dovrebbero dare spettacolo e inorgoglire le decine migliaia di tifosi accorsi. Gli juventini d’America assistono esterrefatti al cappotto, mitigato solo da un gol di Amauri a tempo scaduto.

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